IL SUBLIME IN KANT
Longino
e Kant
“Oggi” -scrive Glenn W. Most in un suo articolo
intitolato Sublime degli antichi, Sublime
dei moderni – “il Sublime non è più una categoria centrale del
giudizio estetico. In parte, ciò può essere dovuto al fatto che le visioni che
ci ispirano i sentimenti più profondi di paura ed orrore non sono quelli del
potere amorale della natura (cascate montane, tempeste) ma quelle del potere
immorale dell’uomo”.
Nel ‘700 il Sublime era invece un argomento di
discussione molto seria nell’ambito dell’estetica. Most pone proprio
l’accento sulla differenza fra il Sublime classico o longiniano e quello
romantico o kantiano. È Kant infatti, secondo la sua tesi, ad elaborare una
concezione del tutto nuova di sublime che diventa paradigmatica per gran parte
della poesia romantica.
Il vecchio Sublime longiniano è caratterizzato da due
elementi: il terrore dell’uomo di fronte ad una forza schiacciante e la sua
soddisfazione nel raggiungere con l’immaginazione una grandezza apparentemente
inaccessibile. Di fronte alla potenza quasi divina dei fenomeni naturali
l’individuo vede in pericolo l’integrità della propria persona e subisce
una sorta di “stupro”, volendo opporsi a una forza che scardina la sua
volontà ma non riuscendovi. Accanto a questo aspetto esiste la componente
piacevole del Sublime: il godimento che proviamo contemplando la superiorità
della nostra fantasia che può sollevarsi per abbracciare l’oggetto sublime
per quanto grande sia.
La maggior parte dei teorici classici o sopprime
interamente uno dei due aspetti o li combina in una formula ossimorica:
“orrore gradevole” o “ godere terribile”. Il Sublime classico perciò può
essere equiparato al complesso di Ganimede, nel quale manca un soggetto unico
sostanziale, capace di dar coerenza alla storia, ma ci sono due momenti o meglio
due personaggi separati: un mortale che si annienta e rinasce come immortale.
Kant, che si distacca dalle teorie precedenti, dà unità
alla vicenda rendendola una storia singola, unitaria: le due fasi del processo
che porta al Sublime (difetto dell’intelletto = dispiacere; coscienza di una
destinazione soprasensibile = piacere) sono espressioni infatti di un unico
substrato cioè la soggettività.
Questi due momenti secondo Kant (qui sta l’affermazione
rivoluzionaria) hanno una successione necessaria: devono essere sempre lì e
nello stesso ordine. Nella Critica del giudizio afferma che “il sentimento del
Sublime è un piacere che sorge indirettamente e cioè viene prodotto dal senso
di un momentaneo impedimento seguito da una più forte effusione delle forze
vitali”.
Il primo momento è un difetto dell’intelletto dovuto
alla sua parziale schiavitù alle leggi sensibili necessarie. Questo genera
subito un secondo momento in cui l’intelletto abbandona la sfera della
sensibilità-necessità per accedere al soprasensibile, al mondo noumenico della
ragione. In questo modo è possibile che la ragione acceda alla totalità, nel
sublime matematico, che superi l’impotenza nei confronti della
natura, nel
sublime dinamico.
Come sentimento il sublime scaturisce dalla scoperta di un
abisso che, nella nostra stessa natura, si estende oltre i confini dei sensi. Il
sublime viene qui inteso come ciò nella cui rappresentazione l’animo sente la
propria destinazione o disposizione a estendersi fino a superare ogni misura dei
sensi. La paura viene sospinta indietro dalla considerazione della propria
sicurezza.
La definizione di Sublime cui arriva Kant è l’opposto
di quella che dà di Bello. Se il Bello nasce da un accordo tra immaginazione ed
intelletto e “implica direttamente un sentimento di agevolazione ed
intensificazione della vita”, il Sublime nasce da una disarmonia tra
immaginazione e ragione. Inoltre per Kant il
Sublime porta lo spirito ad un movimento incessante mentre il Bello dà riposo.
È questa un’altra differenza importante rispetto ai teorici classici secondo
i quali il Sublime induceva lo spirito a sospendere i movimenti.
Kant nella sua trattazione del Sublime tiene presente la
formulazione di Burke che nello scritto del 1796 “Origine delle nostre idee
del Sublime e del Bello” decretò lo status
del Sublime proprio come nozione contrapposta alla bellezza. Secondo il Burke il
Sublime si fonda sul dolore, il Bello sul piacere. È fonte di Sublime tutto ciò
che è terribile o concerne oggetti terribili, che è atto a suscitare idee di
dolore e di pericolo. Kant corregge tale affermazione sostenendo che i due
piaceri prodotti dal Bello e dal Sublime differiscono tra loro.
La distinzione tra Bello e Sublime è presente anche
nell’arte e può essere chiaramente esemplificata dal contrasto tra
l’armonia di Raffaello e la terribilità di Michelangelo.
Secondo il Burke un oggetto bello è caratterizzato da
linee che variano continuamente, ma con una deviazione insensibile, non così
rapida da sorprendere, ma tale da provocare un rilassamento gradevole. Un
oggetto sublime invece è composto di linee spezzate, che variano
improvvisamente formando angoli acuti, oppure che continuano a lungo nello
stesso modo.
Come rileva Rousseau nella Nouvelle Héloise, nella pittura di fine 1700 questi due aspetti coesistono: i paesaggi pittoreschi classici, come quelli di Poussin e Lorrain, con i loro deliziosi boschetti e aiuole fiorite, danno un’immagine rassicurante e aggraziata della natura, estraendone gli aspetti più vari e depurandola dagli accidenti; i paesaggi sublimi, come quelli del pittore romantico Turner, invece, ne mostrano la terribile grandiosità con cascate, nebbie, rupi, abissi.