PLATONE
Platone,
reagendo ai sofisti, condannerà l’arte dei retori e dei poeti come ciurmerie,
perché i primi pretendono di falsare la verità con i lenocini della forma e i
secondi di insegnare ciò che non sanno. Ma dinanzi al divino fascino della
poesia, egli, abbagliato, riabiliterà i poeti e li chiamerà esseri divini,
riprendendo il concetto democriteo del “divino furore”.
Secondo
la concezione platonica esistono tre mondi:
1)
Il
mondo delle idee, cioè
delle realtà universali ed immutabili, distinte da quelle sensibili e modello
di esse. L’idea non è solo l’essenza, ossia l’elemento unico ed
universale presente in molte realtà particolari, ma essa è anche il modello,
l’esemplare perfetto. L’idea è propriamente l’oggetto dell’intelletto,
la forma intelligibile. Queste idee culminano e si uniscono nell’Idea di Bene,
intelligenza suprema, Dio, che dà vita e luce a tutto.
2)
Il
mondo delle realtà sensibili,
cioè delle cose sensibili e particolari, che cambiano continuamente non
rimanendo mai uguali a se stesse e delle quali, perciò, non è possibile avere
alcuna scienza. Il Demiurgo, fattore dell’universo, ha costruito il mondo
sensibile guardando, come modello, al mondo delle idee e perciò le realtà
materiali risultano delle copie imperfettissime, delle imitazioni degli
archetipi eterni, che a differenza di queste sono mutevoli e non perfette ed
eterne.
3)
Il
mondo dei concetti, delle
entità mentali, immutabili ed universali, a cui corrispondono le idee.
L’uomo
è composto di anima e di corpo. L’anima è la parte migliore dell’uomo,
quella in cui consiste la sua vera natura: il bene dell’uomo si identifica con
il bene dell’anima. Il corpo è la sua parte deteriore ed è come una tomba
dove l’anima si trova come se fosse morta. L’anima esiste ancor prima della
nascita, cioè prima di entrare nel corpo, e finché vive nell’iperuranio
contempla le idee e ne ha pieno possesso; una volta scesa nel corpo, questa
visione resta offuscata e coperta dalla materia, dal dato sensibile che spesso
si pone come tiranno dello spirito. L’anima deve così svolgere la funzione di
auriga che guida le due parti dell’anima irrazionale: l’elemento irascibile,
dove hanno sede gli slanci. E l’elemento concupiscente, dove hanno sede i
desideri: il primo è generoso ma impulsivo, il secondo è malvagio e inclinato
sempre verso le bassezze.
La
differenza tra opinione e scienza per Platone è netta ed incolmabile, tanto che
dall’opinione come tale non si passa direttamente alla scienza. Finché
l’uomo si limita alla conoscenza delle cose sensibili o delle loro
riproduzioni prodotte attraverso l’arte, non può avere una vera scienza, ma
solo una conoscenza sensibile. L’anima umana ha vissuto nel mondo
soprasensibile ed ha contemplato le idee finché non è stata imprigionata nel
corpo. Così l’esperienza del mondo sensibile, non è causa di conoscenza, ma
solo reminiscenza, attraverso la quale l’anima risveglia in sé i concetti
innati. La filosofia deve liberare l’anima dalle illusioni della sensibilità
e deve condurla a trovare nei fenomeni quegli impulsi che possono portarla alla
reminiscenza dell’idea eterna, che è l’unica vera conoscenza.
Platone
attacca l’arte su due piani:
1)
morale
: Platone sostiene che l’arte
ci presenta gli dei e gli eroi con caratteristiche negative e meschine, di basso
valore morale. Ugualmente anche la musica. Secondo Platone la musica che stimola
sentimenti negativi va censurata; oggi abbiamo criteri di giudizio diversi: un
brano musicale può essere bello o brutto indipendentemente dal suo valore
morale, per noi bello e brutto sono su un livello diverso da buono e cattivo.
Presso di noi vige l’autonomia dell’arte che Platone non ha riconosciuto:
Platone è molto attratto dal bello che per lui aveva a che fare con la natura e
non con l’arte. Il suo giudizio è puramente morale: se opera è cattiva
moralmente, anche se bella va censurata. Era un concetto molto diffuso tra i
Greci: non c’è differenza tra bello e buono. La poesia è quindi corruttrice,
infatti essa non si volge alla parte più nobile dell’uomo, all’anima
razionale che anzi resta sopraffatta da quella peggiore, dal senso che la poesia
contribuisce ad alimentare. Gli argomenti che i poeti offrono sono eroi colpiti
da sventura, o buffoni che tentano di far ridere, o altre simili figure e a
riguardo degli dei inventano le più grandi falsità, presentandoli in momenti
di battaglie, stragi e parricidi, mentre noi sappiamo bene che dio è
essenzialmente buono, autore unicamente del bene e non del male. Platone
considera dunque il poeta imitatore di ciò che non conosce e fabbricatore di
vani simulacri. Dice: “l’ascolteremo bensì, ma sapremo che non dobbiamo dar
opera a una tal poesia come fosse seria e partecipe del vero, ma che chi
l’ascolta ha da guardarsene, temendo che quell’ordine che ha dentro di sé,
ed ha da ritenere per vero ciò che della poesia abbiamo detto”.
2)
metafisico
: prima Platone dice che solo le
opere d’arte pericolose vanno allontanate, adesso dice invece che vanno
allontanate tutte. Quando un’artista raffigura un corpo, secondo Platone,
imita un corpo esistente in natura che è già imitazione dell’idea. Le opere
d’arte sono dunque a suo avviso imitazioni di imitazioni e, se già le cose
sensibili sono inferiori alle idee, figuriamoci le opere d’arte: sono un
gradino più distanti e contengono un tasso di verità addirittura inferiore a
quello delle cose: le opere d’arte impediscono all’uomo ancora di più
rispetto alle cose sensibili di conoscere le idee e vanno perciò bandite. Il
poeta, e più in generale l’artista, non fa che riprodurre vane ombre imitando
con i versi, non l’idea, ma le fattezze esteriori e sensibili delle cose.
Questo imitatore non ha né scienza, né retta opinione a riguardo della
bellezza o bruttezza di ciò che imita, nasconde la sua ignoranza sotto il manto
della forma ammaliatrice. L’arte diventa negativa a seconda che stimoli buoni
o cattivi sentimenti.
La
ragione ha spinto Platone alla condanna della poesia, ma egli non può non
sentire “l’incanto che esercita anche su noi stessi”. A questo proposito
è significativo ed interessante il dialogo minore Ione,
dove emerge come fondamentale per la poesia non sia la scienza ma
l’ispirazione. Protagonisti sono Socrate ed il rapsodo Ione, che si dichiara
espertissimo di Omero e ne dà prova recitando a memoria molti pezzi. Socrate
gli dimostra che il suo sapere non si basa sulla conoscenza bensì è
un’ispirazione divina. Platone afferma che la poesia è una specie di potere
concesso dagli dei ai poeti. La fonte di tale potere è la Musa stessa, quindi
una divinità, un ente superiore all’uomo, la quale lo trasmette ai poeti
ispirandoli, cioè penetrando in essi, invadendoli. La condizione in cui si
trova un poeta quando è ispirato dalla Musa è l’”entusiasmo”, che
propriamente significa invasamento da parte di una divinità.
Alla
svalutazione della poesia come rappresentazione esteriore del sensibile e
falsificazione della verità, si contrappone la sua celebrazione come
ispirazione divina. Il poeta, secondo Platone, compone in uno stato di trance;
egli è “posseduto dal dio”, come i veggenti nel momento in cui rendono
responsi durante i quali smarriscono il controllo della propria personalità:
chi si trova in questa condizione agisce in stato di ipnosi, ed è capace di
generare irrazionalmente negli altri le stesse emozioni che egli prova:
“Tutti
i grandi poeti compongono i loro bei canti non per arte, ma fuori di sé e
posseduti da un dio…. e come quelli che celebrano i riti dei Coribanti danzano
in stato di trance, così anche i poeti lirici compongono i loro bei canti fuori
di sé, dopo essere entrati nel ritmo e nell’armonia, e baccheggiano e sono
posseduti come le baccanti che credono di attingere dai fiumi miele e acqua
quando sono in trance, ma quando sono in senno no. Lo stesso capita all’anima
dei poeti lirici, come ammettono loro stessi”.
(Ione)
Così
come il poeta è ispirato dalle Muse, il pubblico è ispirato dal poeta, e
anch’egli perde il controllo della sua mente e si abbandona alle irresistibili
emozioni che la parola desta nel suo animo, cosicché si crea una sorta di
contagio in cui tutti sono posseduti dalla
stessa energia, come il Socrate platonico spiega al suo amico:
“Ciò
che ti spinge non è la tecnica, ma una forza divina, come accade nella pietra
che Euripide chiamò magnetica e che in genere chiamano di Eracle: questa pietra non solo attira a sé gli anelli di ferro,
ma conferisce ad essi forza di fare lo stesso con altri anelli, cosicché si
crea talvolta una lunga catena di anelli di ferro tra loro collegati…. allo
stesso modo la Musa prende possesso dei poeti, e attraverso loro si crea una
catena di persone ugualmente in stato di entusiasmo”.