1982-83

Liceo Classico “E.S.Piccolomini” di Siena

III C

 

Antiqui deorum laudes carminibus circum aras euntes canebant, cuius primum ambitum quem ingrediebantur ex parte dextra στροφὴν vocabant. Reversionem autem sinistrorsum factam completo priore orbe, ἀντιστροφὴν appellabant; dein in conspectu deorum soliti consistere reliqua consequebantur appellantes id epodon. (Mar. Victor. Gramm.Lat. VI 58 K.)

 

Attesa (ottobre 1981)

 

- “Ciao mamma!”    – “Ciao nini, com’è andata? dove v’hanno messo quest’anno: siete al Pendola o al Piccolomini?”     – “Siamo al Piccolomini, se Dio vòle, ma ancora ‘un si sa se ci si resta fin’a giugno. C’hanno messo nell’aula ‘Arturo Pannilunghi’, quella accanto a dove s’era l’anno scorso: coll’altre classi del corso C si fa tutta una fila”.     – Allora, vi so’ arrivati tutti i professori, poi?”     – “Macché, senti: per ora di sicuri ci so’ la Teucci e la Chiocci come l’anno scorso; a matematica-fisica e anche a chimica ci saranno du’ supplenti, a storia dell’arte c’è la Traldi che quando gli piglia i cinque minuti ..., ma il problema vero è greco: quest’anno il Bocci ‘un ci ris’ha”.      – “e allora chi vi viene? Sta’ a vvede’ che vi ritrovate il Lifodi un’altra volta!”      – “Sìee, meglio! no, no, lui è nella B; da noi c’è uno novo, ma ‘un si sa chi è. A dire il vero, s’è visto gira’ un paio di tizi giovani, che un po’ino s’assomigliano. So’ alti, mori e robusti tutt’eddue: uno si chiama Rossi, ma ‘un l’ho mai visto prima gira’ per Siena; e quell’altro dev’esse’ – m’hanno detto – il figliolo di quel signore alto che vende le cornici e i poster in via di Città, davanti alla Chigiana: il Fanetti; è uno dell’Aquila: il Barbetti ha detto d’avéllo visto anche vestito nella comparsa a gira’ la bandiera. Se è lui, c’andrebbe bene: è giovane, e poi a luglio hanno anche vinto ‘l Palio, sarà di buon umore! Ma, vedrai, dev’esse’ quello che l’anno scorso, prima che arrivasse il Bocci, si presentò una mattina in classe nostra e disse: “Buongiorno ragazzi, io sarò il vostro nuovo professore di greco per… diciamo un’ora!” e poi scoppiò in una risata grassa e profonda, facendoci letteralmente schianta’ ddal ride’.  Enrico, poi, ha detto di avéllo visto qualche volta pel corso insieme alla su’ cìtta: una ragazza lunga, magra magra; è figliola d’un preside. La su’ mamma lo ‘onosce, perché è il preside dell’istituto agrario di Scacciapensieri, dove lavora lei”.       – “ma ‘un sarà mi’a la figliola del preside Diadori? La su’ moglie la ‘onosco di vista: è una signora imponente; a volte la vedo quando viene a fassi i ‘capelli da Riccardo, in Camollia. Ma insomma domani ce l’avete gre’o?”      – “sì sì, nell’orario provvisorio che c’ha letto Caterina ci s’ha alla second’ ora. Domani allora si vedrà…”.       – “sì, ovvia, gnamo, bellino: io bisogna vada a bbottega; tra po’o torna a casa zia: te oggi stai a casa a fa’ i compiti?”     - “no, dopo mangiato vo da Guglielmo: ci s’ha dda ffa’ latino e poi si farà anche una versione di gre’o, così, ... nell’attesa”.

 

Incontro (ottobre 1981)

 

- “Vedrai è proprio lui, è quello che venne in classe un’ora sola, l’anno scorso”.     – “Speriamo sia tranquillo come il «buon Bocci»”.      – “Ovvia ragazzi, su! comunque vada, ‘un sarà peggio del Lifodi!”     - “O Luigi, te ‘un tù l’ha’ mì’a portàt’ i’ llibro di versioni? i’ ‘un ce l’ho, l’ho lasciato a casa”.      - “Sìeee Sandrinooo, e’ ce l’ho io se sserve, ‘un ti preoccupa’: piuttosto pensa a ffa’ il bravino da lì ‘ndo tù ssei andà’o a ‘ffinì’!” 1      - “Gesù d’amore acceso! Eccolo, eccolo: esce ora dalla sala insegnanti e viene qui ... guarda che borsone nero che ha!”      - Mamma mia, com’è alto e grosso!        - “Sì, sì, è lui!”.       SLAM!    - (tutti) “Buongiorno professore”.     – “Buongiorno ragazzi! 2 Quest’anno, finalmente, ci sono davvero io a farvi greco, e stavolta rimarrò tutto l’anno, contenti? Bene via, cominciamo allora a leggere subito un po’ di greco. Avete portato il volume coi testi dei lirici? Lo scorso anno li avrete di certo fatti nel programma di letteratura, ma soltanto in traduzione. Quest’anno, invece, li leggeremo direttamente in lingua originale e li tradurremo insieme. Ma, soprattutto, li leggeremo in metrica! Ah, la metrica dei lirici: soprattutto quella dei poeti della lirica corale, dove non ci capisce niente nessuno (ah!, ah! ah!). Ma almeno, così, di questi versi potrete provare a gustare meglio anche il ritmo e la musicalità. Ah, sì, sì, sì! Bene, bene! E per darvene subito un esempio, voglio prendere quello che è forse il frammento più celebre di Ipponatte di Efeso. Ascoltate: il poeta sta lanciando un’invettiva contro un avversario; lo sfida a combattere e – vantando le sue qualità di pugile – minaccia di abbatterlo:

 

λάβετέ μεο ταἰμάτια, κόψω Βουπάλου τὸν ὀφθαλμόν·

ἀμφιδέξιος γάρ εἰμι κοὐκ ἁμαρτάνω κόπτων.

 

Prendetemi il mantello! voglio colpire l’occhio di Bupalo:

io tanto sono ambidestro e non fallisco il colpo.

 

Questa è una coppia di tetrametri trocaici catalettici: anche se questi due che ho scelto come esempio, a dire la verità, sono piuttosto irregolari. Lo schema normale del verso è formato da quattro unità, ognuna composta da due coppie di trochei (una sillaba lunga + una sillaba breve), l’ultima delle quali manca dell’ultimo piede (perciò si dice ‘catalettico’, cioè ‘interrotto’).

Il tetrametro trocaico era usato già dai poeti lirici, come dimostrano questi versi di Ipponatte.

In seguito, tuttavia, esso fu impiegato soprattutto dagli autori di teatro per le parti recitate.

Ecco qua, ve ne disegno lo schema regolare alla lavagna:

 

| — || — | — X

 

Vedete la dieresi centrale, che divide il verso in due parti, l’ultima delle quali rimane ‘monca’? Per ricordarvelo pensate di pronunciare il famoso proverbio:

“Tànto va la gàtta al lardo ché ci lascia ló zampìn(o)”

... ma senza la –o finale: “lo zampìn”!

– Ah! ah! ah! (grande risata collettiva)          – Ed ora.... ma ... accidenti! guarda come mi sono conciato il golf e i pantaloni blu con tutto questo gesso.    – Professore, ci si è pulito le mani un paio di volte.    – No, no, è stata la cimosa! Si è sporcato con quella!

 

Un (breve) saluto (settembre 1983)

 

- “Dài Monica, che siamo in ritardo!”       - “Oh Dio, ma ti ricordi dove ci ha detto di andare Duccio? La casa è dentro o fuori da porta Tufi”       - “No, è dentro la porta, in via Mattioli, dopo l’ospedalino pediatrico, vicino al bar (vero?).  Eccoci arrivati. Suono il campanello”.    – “Sì?”     – “Ciao Pierangela!”          – “Siete voi? salite!”      

L’immagine di due sposi felici nella loro prima casa: un invito a cena da loro e una piacevole serata trascorsa a guardare foto del giorno del loro matrimonio (un gruppo di studenti che si stringe festoso attorno a loro nel piazzale della Chiesa dell’Osservanza) e ad ascoltare racconti del loro viaggio di nozze (le zanzare in Finlandia: ma siete andati proprio lì o l’ho sognato? ed era il vostro viaggio di nozze?). Una serata a base di pizza, e soprattutto di progetti, di manifestazioni di intenti, di speranze e anche di qualche timore. Un modo per salutarci, prima di affrontare le nostre rispettive ‘partenze’: per l’Università e per destinazioni diverse (e poi ancora diverse), per carriere professionali diverse e all’epoca solo vagamente immaginate, per vite completamente diverse ... e lontane.

Non saprei dire quante volte, dopo quella serata, ho rivisto Duccio: ci è capitato, seppure di rado, di incontrarci di nuovo per le vie del centro di Siena, o magari al liceo, dove i primi tempi dopo la Maturità tornavo ogni tanto a trovare professori e amici. Qualche volta – forse addirittura qualche volta in più – mi è capitato di incontrare Pierangela, con cui i contatti si sono riallacciati negli ultimi anni della mia permanenza in Toscana, anche per via di Florence e del suo ‘francese’. E adesso, chissà? forse sarà proprio Florence, col suo lavoro, a riportare me (difficile) e Nicola (più facile) in Toscana: forse a Siena, o forse – più probabilmente – da un’altra parte. Forse, tutto questo macinare chilometri in lungo e in largo, questo andare e venire ogni volta, questo incessante trascorrere e vedere tutto dal finestrino di un treno, di un pullman, o di un’auto, serve solo a capire che c’è sempre un ritorno, un ritorno sempre ‘nuovo’. Sì, perché ogni ritorno non è altro che un modo diverso di andare avanti, di riprendere il cammino verso una direzione che crediamo, ci illudiamo, di conoscere, ma che in realtà non conosciamo più; un modo di rilanciare continuamente la nostra sfida al domani, a tutto ciò che ancora ci aspetta.

Buon viaggio anche a te, Duccio!

 

1. Simpatico scambio di espressioni in vernacolo staggino-poggibonsese tra due studenti facilmente individuabili all’interno della classe. In italiano standard le due battute si possono rispettivamente parafrasare grosso modo come segue: – “caro Luigi, hai per caso portato tu il libro di versioni? Io <purtroppo> non l’ho portato, l’ho lasciato a casa” – “caro Sandro, sì certo, l’ho portato io, stai pure tranquillo e, soprattutto, comportati bene lì dal posto (scil. in prima fila), dove sei andato <tuo malgrado> a sederti”.

2. Ciò che segue (più ancora di tutto il resto) è il riadattamento MOLTO libero di alcuni divertenti episodi vissuti nel corso dell’anno alla situazione che qui si intende rappresentare.

 

 

Marco Fucecchi

 

 

 

 

 

Correvano gli anni 1982, 1983, quasi un secolo fa. Almeno in via cronologica, ben sapendo – more Bergsoniano – che sotto il profilo emotivo e psicologico possono corrispondere a un battito d’ali.

In quei mesi viene ucciso il generale Dalla Chiesa, con la moglie e l’agente di scorta; nei negozi iniziano a essere in distribuzione i compact disc, destinati a soppiantare il vinile. Scompare anche il grande Mario Del Monaco, il più celebre Otello di tutti i tempi, così come in un tragico incidente automobilistico perde la vita la bellissima Grace Kelly. La rivista «Time» propone il personal computer come evento dell’anno. Nel giugno dell’ottantatré si assiste al rapimento di Emanuela Orlandi, una notizia che ci fece sobbalzare tutti, aprendo scenari inquietanti, tuttora misteriosi e irrisolti. Zanzotto pubblica Fosfeni, Carmelo Bene Sono apparso alla Madonna, Italo Calvino Palomar.

Tempi vicini e tempi lontani, senza che sia possibile scindere esattamente gli uni dagli altri. Per noi diciottenni e diciannovenni inizia l’ultimo anno del Liceo Classico, quello che si concluderà con l’esame di maturità, l’abbandono della scuola e l’inizio di un cammino incerto, attorniato da grandi punti interrogativi e qualche speranza. Sentiamo tutti, in classe, quest’aria di conclusione e di compimento; la vorremmo ritardare e, nello stesso momento, non facciamo che desiderarne l’avvento. Non è facile, del resto, staccarsi dal nido protettivo del percorso liceale, dai nostri accesi dibattiti, dalle discussioni ideologiche spinte al più spietato redde rationem filosofico ed esistenziale. Tutto appare decisivo e irrinunciabile; la scuola ne garantisce l’aura di esperienza, di crescita, di condivisione. Nel conflitto, il nostro pensiero di forma, prende consistenza, getta le basi delle nostre future riflessioni. Gli insegnanti ci seguono in questo lento, ma deciso maturare. Talvolta ci invitano a un maggiore coinvolgimento personale, controllano la correttezza della discussione, ci suggeriscono paralleli e riferimenti con il mondo passato, con la cultura a noi più vicina per tipologia di studio, quella greco-romana.

In quell’anno scolastico il Prof. Fanetti scelse la tragedia greca di Eschilo, in particolare l’Agamennone, e fu una scoperta profonda, incancellabile. In modo ancora un po’ confuso quanto curioso, data la nostra età, entravamo in contatto con il territorio dei conflitti irreparabili, dei dilemmi che non ammettono conciliazione. La forza altissima dei versi eschilei ci colpiva con tutto il carico di un destino senza via d’uscita, quasi un karma antico riprodotto intatto attraverso il susseguirsi delle generazioni. Ricordo ancora concetti entrati nel mio vissuto personale e nella mia attività di docente: la hybris, la catena delle colpe, il nodo feroce del pathos-mathos: solo per il tramite della sofferenza è dato all’uomo comprendere se stesso e il male che lo circonda. L’uccisione di Agamennone acquistava l’andamento di un film o di una coreografia che le parole del professore cercavano di stemperare in una tipologia più adatta alla nostra immaginazione, quasi tutta da creare e far crescere. In questo modo andava strutturandosi una forma mentis che avremmo ereditato, negli anni, come il più grande contributo della nostra formazione intellettuale: il dilemma di Antigone (legge/etica), l’indagine vorticosa di Edipo, le dubbiose interrogazioni di Euripide, la lirica luminosa di Saffo, la potenza scultrice degli storici.

Non fosse altro che per questo, un sincero debito di riconoscenza si impone, allora, verso chi ha arricchito la nostra vita con i valori fondativi del sapere classico ed ha contribuito a costruire ciò che ancor oggi siamo, nella vita e nei pensieri.

 

«Qui grate beneficium accipit, primam eius pensionem solvit» (Seneca, De benef. I, 22, 1)

 

Guglielmo Pianigiani