1990-91

Liceo Classico “E.S.Piccolomini” di Siena

III C

 

Il problema, come quasi sempre accade, inizia con i nomi. Obbligo. Scuola dell'Obbligo.

Intanto, si potrebbe già discutere sulla formulazione: come una scuola di cucina insegna a cucinare, così la scuola dell'obbligo insegna ad obbligare? O ad essere obbligati?

L'obbligo poi, giuridicamente, si concretizza proprio come situazione di soggezione imposta dalla Legge, e non suona quasi mai bene.

È naturale, quindi, che tanto più si procede negli anni della scuola dell'obbligo, tanto più alcuni studenti, maturando, crescendo ed emancipandosi, avversino l'Autorità che incarna l'obbligo, ovvero l'Insegnante, e con essa stabiliscano rapporti più o meno fecondi.

Dopo lunghe e faticose riflessioni, ho compreso che la relazione insegnante-studente, in particolar modo negli ultimi anni obbligatori, si può strutturare secondo due modelli di base: il modello della doccia, ed il modello della fontana.

Analizziamo dunque il primo.

Nel modello della doccia, il professore rappresenta il serbatoio dell'acqua, sia esso posto in soffitta, in garage (dotato di autoclave e pompa), oppure direttamente connesso all'acquedotto pubblico. Lo studente rappresenta la doccia, ed in alcuni casi anche la caldaia o il più vetusto scaldabagno.

In questa relazione il professore, in genere a cascata, riversa l'acqua – ovvero le nozioni – nello studente, al quale viene sostanzialmente chiesto di riemetterle con minima filtrazione. Quando non vi è filtrazione alcuna, il modello della doccia degenera nel modello del rubinetto.

Questo modello non pone particolari problemi, in teoria funziona assai bene, ma espone gli utenti ad un grave rischio: se qualche volta il risultato è rappresentato da docce calde e confortanti, o quantomeno tiepide, altre volte esso si traduce in agghiaccianti docce fredde che lasciano storditi per giorni. Il rischio della scarsa trasformazione dell'acqua e delle nozioni, nel processo, è proprio questo: alcune volte lo studente, preso dal furor di ripetere esattamente e gratificare il suo mentore, crea in realtà nient'altro che una gelida cascata di imbarazzo, che al confronto a Niagara fanno ridere.

Per tacer del fatto che – doccia calda o fredda – il risultato finale del modello in quesione è sempre il solito: finisce tutto nello scolo. Tutto si perde.

Analizziamo ora il secondo modello.

Nel modello della fontana, il professore rappresenta sempre il serbatoio dell'acqua, questa volta in genere pubblica, e lo studente rappresenta la fontana.

Anche qui il primo spinge l'acqua, la conoscenza, all'interno del secondo, ma in questo caso vi è un processo trasformativo, più che di filtrazione: l'acqua fuoriesce sotto forme diverse e talvolta le più varie ed interessanti. Da zampilli intermittenti a spruzzi sincronizzati, da archi rampanti a colonne liquide, da girandole a piccoli fiumi. Le pause creano grande suspence, e quando il getto ricompare il sollievo è enorme. È grandemente scenografico. Nei casi meno fortunati, questo modello degenera nel modello della fontanella, nel quale le nozioni, assai poco trasformate, non fanno altro che soddisfare brevemente la sete del professore, di un bimbo o di un animale da compagnia. E tuttavia sono assai gradite!

Il modello della fontana è tanto rischioso e poco funzionale quanto pregevole e mirabile. Certo, una parte dell'acqua viene portata via dal vento, una parte trabocca fuori, ma lo spettacolo è comunque assicurato!

Per tacer del fatto che in genere nel modello della fontana niente finisce giù per lo scolo: l'acqua, le conoscenze, vengono reimmesse in circolo e fecondano altre mirabili esposizioni.

Ecco, nel mio caso sono lieto di poter dire che il Professor Fanetti, che chiamerò sempre Il Fanettino, ha saputo strutturare la nostra relazione sulla base del modello della fontana, e di questo lo ringrazio moltissimo. Non ero certo degno dei giochi d'acqua della reggia di Versailles o dei più prosaici e grandiosi spettacoli dei casinò di Las Vegas, e di certo tanta – ma tanta – acqua si perdeva, tuttavia qualche esibizione decente l'ho fatta anche io, e non solo nelle aule del Liceone; anche fuori, nel Mondo: nel modello della fontana le conoscenze non si perdono, ma si riutilizzano incessantemente.

Giungendo quindi al termine della dissertazione, lascio brevissimo spazio all'aneddotica. La mia fontana migliore la produssi certamente in occasione del tema di italiano della Maturità, ma è una storia noiosa e non la dirò; la seconda migliore, quindi, in occasione di un test scritto di greco, a risposte aperte e chiuse, che sostituì la seconda interrogazione del secondo quadrimestre di seconda liceo. La porta verso la terza, e la libertà dagli obblighi (o almeno così pensavo).

In quell'occasione riuscii a copiare quasi tutte le domande aperte dalla mia vicina di banco, Federica Fantozzi, misi le crocette alle risposte chiuse che conoscevo e tirai a caso le altre che non conoscevo. Federica prese 8. Io 8 e mezzo. Acqua sua, fontana mia, tutti felici.

Con sincero affetto,

 

Lorenzo Frusteri, Comitato 90/91.

 

 

 

 

 

"Vediamo oggi chi si interroga....Iniziamo da cima, da fondo o dal mezzo?"

Guardando i nomi sul registro. " Mmmm vediamo... oggi direi dal mezzo".

Silenzio totale, panico. Solo il rumore del dado che rimbalzava sul piano della cattedra. Secondi interminabili, lunghissimi, mal di pancia e sudore, capo chino sul banco.... " 5! Vediamo: uno, due, tre, quattro e cinque: Leonini!" Ma porca....

Ciao Prof., sei grande!

 

Francesco Leonini