1993-94

Liceo Classico “E.S.Piccolomini” di Siena

III C

 

 

 

 

 

 

 

Filippo Cenni

 

 

 

 

Ebbene, sì, lo confesso: anch’io ho avuto il Fanettino!

Il destino, cinico e baro, me l’affibbiò come professore d’Italiano, Latino e Storia fin dalla Quinta Ginnasio, nel lontano 1989. Fu quello l’annus horribilis in cui cadde il Muro di Berlino e durante il quale, fra le altre cose, io rimediai un 7-- all’interrogazione di Storia sulla civiltà etrusca (fatto passato alle cronache più in sordina). Di quel capitolo sapevo tutto, anche le virgole, ma essendomi fieramente rifiutato di studiare l’Etrusco per una questione di principio, a fine interrogazione non fui in grado di tradurre quei caratteri misteriosi che, per una incurabile forma congenita di sadismo, il Fanettino aveva trascritto alla lavagna e che avrei appreso soltanto in seguito significassero la fondamentale frase tratta da un’iscrizione funebre sulla tomba di un tale, del quale si diceva in forma ‒ per l’appunto ‒ lapidaria: «Arnth Aletnas, figlio di Laris. Fu Pretore a Tarquinia». La profonda delusione, l’incontenibile costernazione e la viva incredulità che, in un baleno, s’impossessarono dell’attonito prof. Fanetti, fino a pochi attimi addietro raggiante, divennero immediatamente palpabili grazie al suo sguardo mesto e smarrito nel vuoto, al ritmo rapidamente accentuato del suo intercalare di sbuffi nasali, ma soprattutto a quel doppio meno che sviliva e, giustappunto, menomava irrimediabilmente il bel voto di una prestazione fino a quel momento degna di tutto rispetto. Poco prima il robusto e imponente professore gongolava in cattedra, sorridendo sornione, accarezzando lievemente ma in maniera compulsiva la parte inferiore dei braccioli della sedia con il dito medio (in un ricorrente tic dove il buon vecchio Freud, se non altro per mera deformazione professionale, non avrebbe potuto fare a meno d’intravedere il puritano estrinsecarsi di latenti pulsioni onanistiche represse nel profondo del subconscio) e lasciandosi andare, di tanto in tanto, a qualche commento esterrefatto che proferiva con tono sommesso e nondimeno intriso di un’ineffabile gioia dalla purezza quasi infantile, del tipo: «Eh... però... bravo Zanottino!». Tuttavia, il mio reciso diniego di prestarmi anche solo ad abbozzare un tentativo di traduzione di quell’incomprensibile congerie di astrusi segni, giacché totalmente avulsi dal programma di Storia in quanto tale, lo aveva indispettito al punto da infierire sull’esito dell’interrogazione non soltanto con un voto inferiore a quello meritato ma con lo sfregio di quegli ignobili segni di sottrazione vergati con implacabile perfidia sul registro, quasi a voler rimarcare il proprio potere assoluto, letteralmente dispensato perfino dal rispetto dello stesso programma scolastico: L’École, c’est moi!

 

Al Fanettino piaceva immensamente il ricorso a numeri e a segni matematici! Rammento ancora quando, in un compito di Latino assegnò 1+ alla traduzione svolta da una malcapitata compagna di classe che, con gesto forse indelicato, s’arrischiò a chiedergli: «Ma in un compito con un voto del genere il + che significa?!»; al che lui replicò, beffardo: «Un incoraggiamento!». Per scegliere chi interrogare estraeva dal suo inseparabile borsone da palestra nero, stracolmo di libri, il sacchetto coi numeri della tombola e, in effetti, nulla pareva più appropriato per un’interrogazione che sovente si risolveva in un terno al lotto...

 

Ho ancora impressa nella memoria l’immagine di quest’uomo intento a scandagliare in controluce le pagine dell’antologia di letteratura greca, negli anni del Liceo, al fine di verificare che non vi fossero segni, neppure minimi, sopra ai distici elegiaci o agli scazonti composti da certi poeti lirici che potessero suggerire all’alunno interrogato dove far cadere l’accento nella lettura metrica. E, dato che agli occhi portava lenti simili a fondi di bottiglia nessuno avrebbe mai potuto sospettare che sarebbe stato in grado di scorgere perfino delicate punture di spillo! Cosa che invece puntualmente faceva, tanto da farmi venire il sospetto che gli occhiali fossero un puro vezzo da intellettuale per depistare gli studenti, dietro ai quali si celava in verità una vista “aquilina”! La qual cosa trovò una conferma indiretta una notte di mezza estate quando lo incrociai un po’ alticcio per il Corso mentre, intonando «si sa che 'un lo volete...» in esametri dattilici, rincasava avvolto in un fazzoletto giallo...

 

Scherzi a parte, frequentare il Liceo Classico avendo fra i docenti il prof. Fanetti è stata una severa scuola di vita, che mi ha indotto a lavorare su me stesso per comprendere meglio chi fossi in realtà e come mi percepissero gli altri, indipendentemente da chi mi credevo di essere o da come mi vedessi io. Gli anni trascorsi a contatto con lui mi hanno impartito ancora più lezioni di quelle che in effetti mi tenne, consentendomi di apprendere tanto altro al di là del Greco e del Latino (nel tradurre i quali ancora stento).

 

Nonostante tutto, nel ripensare con un velo di malinconia a quegli anni lieti e ormai lontani non posso fare a meno di ricordarmi della sua figura, didatticamente austera e intransigente quanto umanamente a portata di mano. Gli sono grato per essere stato, con tutti noi, né più né meno (in questo caso) che ciò che era effettivamente. E oggi sono lieto di rendergli omaggio al compimento della sua carriera.

Con malcelato affetto e sincera stima.

 

Paolo Zanotto

 

 

 

E così Duccio Fanetti, "il Fanettone”, mio amatissimo "Prof." di Greco e Latino di liceal memoria va in meritata quiescenza!

Che bella notizia: "nun krè methysten", "nunc est bibendum", "adesso dobbiamo stappare" (la traduzione non ortodossa forse Duccio non me la passerebbe.... ma concedetemela) !!!

Senza dubbio alcuno, il professor Fanetti è stato l'insegnante che più profondamente ha lasciato tracce di conoscenza, ma anche di coscienza dentro di me.

Eh sì, perché un Professore non è chi ti insegna cose "ferme", "date e rate", ma chi sa instillare dentro di te la curiosità odissiaca di approfondire, di andare oltre l'epidermide, non solo del "sàpere", ma dell'essere, dell'umano esperire.

 Non credo di esagerare nel dire che lui ha lasciato questo seme in me: ben oltre il folclore delle interrogazioni col sardonico lancio di dadi - lanciati sulla cattedra sine pietate al suono di "dadìn dadìn", fonèma certamente ripreso ed adattato dal "didìn didìn" del mitico Alberto Sordi nella resa cinematografica de "L'Avaro", di Moliére.

Eh sì, perché le (interrogazioni) "programmate" non facevano al tempo per Lui!

 Ancora ricordo quando, entrando in classe per la consueta ora di latino o di greco coll'immancabile "golfino blu marine", lo salutai al grido di "Capitano, mio Capitano!", ritto sulla seggiola, impettito e col saluto militare, come gli alunni del Professor Keating (interpretato da un indimenticabile  Robin Williams) ne "L'attimo fuggente", uno dei film che più ha segnato la mia generazione; lui mi guardò, con aria tra l'imbarazzato ed il compiaciuto, da quegli occhi puntuti, inverosimilmente sgranati per l'occasione dietro quei fondi di bottiglia che chiamava occhiali; forse perché aveva colto, nel mio saluto eccentrico ed al limite dell'irrispettoso, l'affetto filiale dello scholaro.

Affetto che ancora oggi, a 43 anni suonati (e cantati !) resta, nonostante il trascorrere impietoso, ma mai empio, del tempo, che ingoia tutto e tutti, ma non i nostri ricordi, tra le gioie immense da condividere con chi ci vuol bene, ed i dolori troppo grandi da portare da soli.

Ebbene, anche se è trascorso buon tempo dall'ultima volta in cui io e Duccio ci siamo potuti salutare nella nostra Siena (vivo ad Assisi ormai da qualche tempo...), la sua "silhouette" (glissons, anch'io sono sempre stato sovrappeso!) non è affatto sbiadita, ma assai viva in me, nella testa e nel cuore!

 Lasciando quindi queste poche righe vergate di fretta in un fiacco mattino lavorativo, e questa vignetta che disegnai ai tempi della II liceo, voglio abbracciare con tutta la forza che ho, "il mio Capitano", portandogli il mio saluto, il mio rallegramento, la mia simpatica ed affettuosa stima.

 

 

 

Francesco Marchetti