2001-02

Liceo Classico “E.S.Piccolomini” di Siena

III A

 

Se penso a quegli anni, il Fanetti per me è ἄνδρα μοι ννεπε μοῦσα, è δέδυκε μὲν σελάννα, il δίκτυον dell’Agamennone eschileo, il discorso di Pericle agli Ateniesi, il carpe diem oraziano, parcere subiectis et debellare superbos, e il suo caro Tacito ubi solitudinem faciunt, pacem appellant… il Fanetti è stata indubbiamente una delle guide più importanti della mia adolescenza, dal punto di vista intellettuale e umano.

Mi piace ricordare alcuni momenti, ancora vividi nella mia mente come il presente. Una volta, ai primi di maggio, il Fanetti acconsentì a fare lezione in cortile, e leggemmo Tityre tu patulae recubans sub tegmine fagi seduti tra l’erba, sotto gli alberi del cortile, in pieno ambiente bucolico: dica la verità professore, lo fece apposta? Altre volte aveva sempre rifiutato, anche perché io e Maria Paola Angelini, allergiche alle graminacee, ci guardavamo sconsolate e preparavamo i fazzoletti.

Poi il Fanetti era sempre così preciso, scrupoloso, rispettoso… una volta, alla seconda ora, trovò scritto alla lavagna a caratteri cubitali απροσδόκετον, così, senza spirito e con l’epsilon: fece un ghigno di disapprovazione e di sadico godimento, additando comicamente la lavagna, “ah, ah!”, come a dire “ti ho colto in fallo”, e corresse col gesso l’epsilon in eta; poi, soddisfatto e compiaciuto nel suo delirio correttivo-compulsivo da professore incallito, chiese: “Chi l’ha scritto?”, tutto ridanciano… da parte nostra silenzio, imbarazzo, scambi di sguardi divertiti… “Chi l’ha scritto!?”, chiese più sommesso… e noi: “emmmm, la Teucci”. Nuovo silenzio, più spesso, più pesante. La mandibola del Fanetti cade, le fauci si spalancano senza emettere suono… “ Aaaa, eeeee, vabbè…. emmm, cancelliamo”. E la cimosa tolse ogni traccia compromettente del comico incidente.

Non ho mai amato mettermi in mostra, ma la mia passione per il latino e il greco era incontenibile, trapelava da tutti i pori, al di là della mia volontà, ed era accolta dal professore con soddisfazione, ma anche con una bonaria ironia, che metteva tutti di buon umore. E qui gli episodi sono innumerevoli.

Ricordo una volta che il professore spiegava il carme di Orazio sull’aurea mediocritas, o qualcosa di analogo, e volle citare come modello il frammento di Archiloco θυμέ θύμ’, che avevamo letto l’anno prima sul Rosati. Certo, io me lo ricordavo benissimo, ma i miei compagni avevano un punto interrogativo stampato in faccia. Allora, per tradurcelo di nuovo con precisione, il professore frugò nel suo mitico borsone da viaggio, ne cavò il volume uno del Rosati, che noi ovviamente non avevamo dietro, e cominciò a leggere: “καὶ μήτε νικῶν μφάδην ἀγάλλεο, μήτε νικηθεὶς ν οἴκῳ καταπεσὼν δρεο - e vincendo non esultare apertamente, né, sconfitto, piangere essendoti abbattuto in casa: - ἀλλὰ χαριτοῖσὶν τε χαῖρε καὶ κακοῖσιν σχάλα - ma delle gioie gioisci e dei mali addolorati…” La tentazione di concludere la frase in crescendo era forte, allora dissi a voce bassa, tra me e me: “μὴ λίην”. Ma il professore sentì! “Ah, disse, ce l’avete? Avete il testo?” E la gente: “No no, è la Pincin!” Il Fanetti: “Ah, ah! Lo sa a memoria!” Ilarità generale. In effetti me lo ricordavo, come potevo non ricordarlo? Eppure non lo avevo mica studiato a memoria!

E un’altra volta che eravamo alle prese con la lettura dei trimetri giambici, forse dall’Antigone in terza, o forse di commedia, non ricordo, ma so che erano ricchi di sostituzioni. Io, da bimba giudiziosa quale ero, me li ero tutti preparati a casa per benino, con tribrachi e anapesti segnati sopra a matita, mentre il professore li ricostruiva sul momento, uno per uno, alle domande degli alunni. Tutti chiedevano i versi che non erano riusciti a far tornare, e il professore, che aveva sfoderato il suo infallibile portamine, si metteva pazientemente a fare i conti “breve, lunga, breve…” e poi li leggeva con la sostituzione al punto giusto… Un verso con due sostituzioni non voleva tornargli: “ah sì, è così” e attaccava “tatà, tatatà, ta… Ah no, aspettate…. Ah, ecco, allora è così: Tatatà, tatà, tata… ah no, no, dunque… ” E i miei compagni, che ridacchiavano: “Silvia, non gli riesce, diglielo tu!” “Ma no, figuratevi, lasciategli tempo, ci arriva! Anche io a casa ci metto un po’!” “Dai, Silvia, diglielo, diglielo!” “Ma no!” E finalmente il professore, senza comprendere la ragione del subbuglio, ma a voce alta per sovrastare il brusio, “Ah no, ecco! Tatatà tatà, tatàttata tà ….”  E io: “Ecco, visto che ci è arrivato!” Il Fornaciari, totalmente all’oscuro di qualsivoglia nozione di metrica, si rivolse ancora a me, un po’ deluso per il mancato intervento, un po’ per chiedermi, ancora ridendo, se il professore l’aveva detto giusto. Se il Fanetti avesse sentito, ci avrebbe fatto una bella battutina.

Come quella volta che mi riconsegnò la versione di greco, con faccia truce: “Nooooo Pincin, e basta! Nove e mezzo! Non se ne può più!” Tutti a ridere insieme!

Quanti appunti ho passato in quegli anni, quante fotocopie dei miei quaderni giravano per la classe e perfino nelle classi inferiori, che io vedevo in mano a ragazzi che neanche conoscevo! Quando c’era qualche dubbio, la gente veniva da me… si vede che avevo scritto Gioconda in fronte! Una mattina il Fanetti stava spiegando qualche tragedia euripidea, come l’Ippolito, la Medea, non ricordo, ma c’erano storie intricate di parentele, incesti e uccisioni. Il professore correva, per finire il discorso prima del suono della campanella, io scrivevo a raffica, ma dovevo aver già letto la trama (nel riassunto su fondo grigio del Del Corno), oppure può darsi che conoscessi il mito per altre vie, perché queste cose m’interessavano, non so…fatto sta che io gli stavo dietro, ma molti si erano persi nei meandri della trama “Eh??? Chi? Io ’unnn ho capito! Chi ha ucciso? Chi ha sposato?” La La Vista mi chiama dalla parte opposta della classe: “Silvia! Chi??? Chi è che ha ucciso?” Al che io, con voce sorda, ma quanta bastava perché si sentisse da una parte all’altra dell’aula, mi metto a ripeterle gli ultimi passaggi della trama. Magicamente mezza classe si rivolge verso di me, ad ascoltare e prendere appunti su quello che dicevo! La Villani, la Rabissi, pure la prima fila…mai avrei potuto prevedere un tale fenomeno… Il povero Fanetti, basito, vide tutte le nuche rivolte indietro e rimase con la parola spezzata in bocca: “Ma, ma…chiedete pure a me!” Che vergogna! Che ridere! Mica volevo portar via il lavoro al professore!

Ma ero anche una scolara come tanti altri, coi miei dubbi, le mie incertezze. Ricordo uno dei terribili test strutturati di latino, con domande a scelta multipla o a risposta secca, quelli che la gente si sognava di notte, quelli in cui speravi nel quattro meno meno (sempre meglio di 2)… Passo da tradurre con una forma dall’infectum di pario. Domanda: «Qual è il perfetto di pario?» Panico. Subbuglio alle mie spalle. Anche l’altra secchiona di classe, la La Vista, mi chiama: “pst, pst, il perfetto di pario?” “Boh!” Non mi veniva: facevo tutte le prove: “Parui? Ma no, quello è di pareo, parēre. Parvi? Boh, ma esiste? Parsi? No, non suona bene…. Pario parĕre, partorire, il parto…mah, la lascio a dopo.” E andai avanti con le altre domande. Ci tornai una volta finito, e tentai di ragionare ʻalla Fanettiʼ: “Se ce l’ha chiesto, sarà di quelli strani! Sarà difficile!” Comincio a ripetermi paradigmi a caso, sperando nell’illuminazione dell’analogia: “Gero gessi: no. Dirimo diremi, frango fregi, cado cecĭdi… Ma sì! A raddoppiamento! Pario pepĕri, come cado cecĭdi, come fallo fefelli! Ma certo!” Alzai lo sguardo verso la cattedra e gettai al Fanetti un’occhiata di perfida intesa, abbozzando un sorriso di comprensione che solo una piccola prof in erba può concepire… il che ovviamente cadde tutto nel vuoto, perché il professore non stava guardando verso di me. Ma quello che conta è che ci ero arrivata! Erano gli ultimi minuti di frenesia prima della consegna: “pst, pst, Betta!” tentai di chiamare la La Vista per avvertirla di aver trovato il perfetto di pario, ma lei non sentiva… “Pst… meglio lasciar perdere” pensai “se non lo sa lei, non lo sa nessun altro. Quindi se lo dico a quei due o tre che mi circondano col banco, è troppo palese la copiatura. Poi alla consegna il prof mi dirà: strano, l’hanno fatto bene solo la Pincin e quelle tre che erano sedute accanto, la Villani, la La Vista… no, no, meglio non rischiare”. E alla consegna il professore disse: “Ma possibile che il perfetto di pario l’ha fatto bene solo la Pincin???” Io rossa.

C’erano poi quei trucchetti simpatici che ci insegnava per riuscire nelle cose più tecniche, come le filastrocche per ricordarsi le forme metriche, o il giochino di εκου per la lettera da attribuire ai libri di Omero, quelle cose che all’università non ti insegnano anche se fai studi classici, ma che non dimentichi più per tutta la vita: ecco, quelle cose ‘fanettose’ in grado di strabiliare il mondo accademico, alle quali sono molto affezionata. Oltre a tutto il resto che mi ha insegnato, a tutte le cose fondamentali che ho imparato e che all’università ho solo ripetuto, approfondito, reso più scientifiche e documentate; ma la sostanza non è cambiata, quello che ho imparato al liceo rimane granitico ad aeternum. E quindi, grazie professore!

 

Silvia Pincin

 

 

 

Caro Professore,

sembra così vicino il ricordo delle ore di latino e greco passate in quelle aule un po’ fatiscenti e con i vetri rotti del mitico Liceo Piccolomini. Sembra molto vicino, ma in realtà è terribilmente lontano. Sono trascorsi 16 anni dalle ultime versioni di latino e greco che ci separavano dall’esame di maturità del lontano 2002.

Di indole non esuberante né egocentrica, a scuola ho sempre cercato di accaparrarmi un posto nelle ultime file in modo da confondermi fra la massa. Questo non doveva intendersi come menefreghismo o svogliatezza, bensì come desiderio di non apparire. Questo tratto caratteriale un po’ schivo si è sempre accoppiato, però, ad un forte senso del dovere e ad una naturale inclinazione a voler fare bene a tutti i costi. Insomma, le sconfitte non erano per me, e quando arrivavano mi davano quella giusta scossa che mi portava ad impegnarmi ancora di più, se possibile.  

Non so cosa ricordi Lei di quella Elisa Villani, seduta all’ultimo banco, biondina e piccolina che si nascondeva fra le teste dei compagni seduti di fronte.

Io di Lei ricordo molto. Ed è un ricordo dolce, mai sguaiato. Il ricordo di un uomo grande e grosso, dall’animo gentile. Dietro quegli occhiali spessi, quei baffi folti e quella capigliatura arruffata, ho sempre percepito la dolcezza di un uomo buono, di un buon padre di famiglia e di un professore che amava il suo lavoro. I brutti voti delle versioni di greco e latino bruciavano lì per lì, ma a Lei era perfino difficile mandare degli accidenti. Gli anni del ginnasio con il Bocci e quelli del liceo con Lei, la Teucci, la Laiolo ed il Marilli non sono stati sicuramente anni facili. Il percorso è stato a tratti molto impervio, ma sapevo che alla fine ci sarebbe stata una grande ricompensa. Questa ricompensa, che al momento poteva sembrava il 100 preso alla maturità, in realtà è arrivata più tardi. È stata una ricompensa che sono riuscita ad identificare nel corso degli anni con il crescere della maturità e dell’esperienza. Un metodo di studio infallibile, la capacità di affrontare situazioni complesse e il non arrendersi mai: sono queste le cose che mi porto dietro da quegli anni e che devo anche a Lei. Il latino ed il greco passano, ma questi insegnamenti di vita non passano mai. E per questo devo ringraziarLa ancora oggi.

Forse ogni docente è curioso di sapere che fine hanno fatto i suoi studenti, i migliori ed i peggiori. Io dopo il liceo mi sono laureata in Economia a Siena con 110 e lode. Durante i miei studi ho lavorato in una grande azienda con sede a Poggibonsi e mi sono occupata di controllo di gestione. Ci sono rimasta 4 anni, fino alla laurea magistrale. Dopodichè ho deciso di fare il dottorato di ricerca in Management all’Università di Bologna e questo mi ha portato poi a Londra, dove ho trascorso un periodo abbastanza lungo in un’importante Business School. Da 3 anni e mezzo sono ricercatrice all’Università di Bolzano e spero di diventare presto professore associato. Sono sposata e senza figli al momento.

Oggi riesco a capire meglio l’amore che Lei nutriva per il suo lavoro. Il lavoro che faccio lo adoro e non lo cambierei con niente al mondo, non soltanto per l’aspetto di ricerca scientifica, ma anche per l’insegnamento. Trasmettere conoscenza ai ragazzi è bellissimo, ma quello che riceviamo da loro è ancora più bello, forse. E sicuramente questo scambio è amplificato nella scuola secondaria, dove il rapporto con i docenti è molto più vicino e diretto rispetto all’università.


Lei oggi è arrivato alla soglia del pensionamento e può essere fiero di tutte le cose che ha trasmesso agli studenti che ha incontrato lungo il suo cammino. Io ricorderò sempre quell’uomo grande e grosso con gli occhiali spessi, i baffi folti e la capigliatura arruffata che saltellava da una mattonella all’altra nei corridoi del Piccolomini e che, a modo suo, mi ha regalato tanti insegnamenti di vita e mi ha portato dove sono oggi. È un ricordo dolce e piacevole che conservo nel cuore.

Grazie e buona vita!

 

Elisa Villani

 

 

 

 

Caro Professor Fanetti,

il primo ricordo che associo alle sue lezioni è sicuramente legato alle splendide letture in classe, a quanto mi piacesse leggere le commedie latine e greche interpretando sempre un personaggio diverso, fugaci diletti teatrali in quel mondo di studio "matto e disperatissimo".

Gli anni del Liceone sono stati meravigliosi, un ossimorico insieme di fatica e orgoglio, nella giovanile convinzione che le “chiavi” di lettura per aprire il Latino e il Greco (ahimè non sempre reperite nel corso delle versioni), avrebbero un giorno aperto la mente a illimitate e svariate pagine di qualsiasi materia e studio.

E se dopo tanti anni, laurea, post laurea, non ho perso la voglia di studiare, di guardare il mondo con quella curiosità un po’ folle, lo devo a lei; sempre giusto, sempre imparziale, severo e temuto ma comprensivo e pronto allo scherzo nei momenti indicati (perfino nei confronti di qualche battuta della Commedia). La figura che sempre rappresenterà il mio Professore del Liceo.

Non posso che ringraziarla, per avermi insegnato a studiare con impegno e minuziosa precisione, per avermi insegnato che l’importante è individuare l’obbiettivo da raggiungere, che con l’impegno si conquista anche la meta più ostica.

E se, ancora oggi, guardando queste strane barbe che vanno di moda, penso e mi torna alla mente Giuliano Imperatore e il suo Misopogon (Odiatore della barba), la devo ringraziare nuovamente per aver contribuito a formare l’adulto che sono, con tanti difetti, un po’ matta ma sicuramente meno uguale agli altri.

 

Lucia Pelosi