2003-04

Liceo Classico “E.S.Piccolomini” di Siena

III A

 

 

Memorie Impertinenti

ovvero

Collaterali lezioni di vita per una studentessa non esattamente diligente.

 

È il 2007 ed il mio primo giorno di lavoro nella nuova azienda a Firenze. I colleghi sono tutti poco più grandi e cercano gentilmente di farmi sentire a mio agio. “Ah, anche tu sei di Siena… Ma dai, pure io ho fatto il Classico. Chi avevi come professore a greco?” Rispondo facendo un nome, cercando di cogliere nel mio interlocutore quell’impercettibile scintilla o involontario tic che ormai ho imparato a riconoscere.

Chi è stato allievo del Professor Duccio Fanetti condivide un legame vicino a quello di un legame di sangue. Puoi leggere in quegli occhi lo sguardo di chi ha attraversato l’inferno ed è sopravvissuto per raccontarlo. Eppure tutti gli ex allievi che ho incontrato condividono per “il Fanetti” una sincera stima e in alcuni casi un certo divertito affetto, pur nonostante i picconi a greco, i debiti formativi più o meno recuperati, i più e i meno sul registro, le interrogazioni col dado e, soprattutto, le crisi di panico prima dei micidiali test… Già “i” Leggendari Test, il cui affascinante e terrifico ricordo si tramanda tra le generazioni di studenti: 100 domande in 60 minuti. Ogni risposta giusta concorre al voto in maniera percentuale: vuoi il 6? Il 60% delle risposte deve essere corretto. Non c’è spazio per dubbi o incertezze, il tempo a disposizione è talmente poco che non si può nemmeno sperare nel buon cuore dei secchioni che passino le risposte, perché il tempo è tiranno per tutti e la selezione naturale è legge: chi si ferma è perduto. Nei Test del Fanetti chi si corona del merito di studente diligente ascende giustamente all’Olimpo degli eroi con lucenti voti quali 8 o, in alcuni casi leggendari, addirittura 9… Diversamente, chi sbaglia paga, destinato all’infamia di un voto semi-irrecuperabile e/o ai meritati cazziatoni dei genitori a casa. Certo, farcela è dura ma non impossibile, perché nel test trovi tutti gli argomenti delle lezioni già affrontate e i testi tradotti insieme in classe o a casa. Se sei stato uno studente scrupoloso, attento alle lezioni, hai preso bene gli appunti e fatto i compiti volta per volta, si tratta di fare un bel ripasso generale i giorni prima e puoi dormire sonni tranquilli. Se. Diversamente, è una forsennata salita al Golgota a ritmo di trimetri giambici e tetrametri trocaici catalettici (nomi che ricordo unicamente per la simpatica assonanza in “r” e per una vignetta disegnata di studenti che interpretano un catalettico stato di morte per trimetri). Qualcosa però ti ricordi, perché oggettivamente le lezioni sono belle, così come gli argomenti, sennò non avresti fatto il Classico e il professore spiega con coinvolgimento e passione. Ma tutta la tua buona e tardiva volontà o un discontinuo entusiasmo per la materia non possono tappare le voragini di date e nozioni mancanti. Qui entrano in gioco i bigliettini. Dato che non sono ammessi astucci sul banco occorre che la mancanza di metodo nello studio aguzzi l’ingegno e che una sana botta di culo faccia il resto. Fai cadere la gomma e tenti di leggere il prospetto di autori scritti su carta adesiva e incollati sotto il banco, riemergi e non sei sicurissimo che “Antiloco" sia proprio il nome corretto, però un po’ ti suona… e avanti. D’inverno ti scrivi le date sulle dita e indossi mezzi guanti, il riscaldamento perennemente rotto per una volta ti fornisce l’alibi del delitto perfetto. Peccato che nove volte su dieci non sono le date che ti servivano…. e avanti. Sul retro dell’etichetta della bottiglietta dell’acqua - staccata, scritta e reincollata, roba che James Bond lo mettono a fare coccodè in Aula Magna - sono elencati i metri ma che, vuoi la colla che sciupa l’inchiostro, vuoi che li hai scritti piccini, alla fine non ci leggi un piffero. Ti tappi gli occhi e fai una croce su una delle risposte… e avanti. Morale della storia, i bigliettini alla fine non ti servono praticamente mai. Le cose o le sai o non le sai. Quello che però i test di Greco e il Professor Fanetti mi hanno insegnato (oltre che avrei dovuto studiare con maggior criterio e sicuramente di più!) è stato confrontarmi con me stessa.

Applicare un metodo in maniera continuativa, restare sul pezzo lucida e concentrata, gestire l’ansia e ottimizzare il tempo a disposizione. Ma soprattutto che sul lungo periodo le scorciatoie e le furbaggini non servono e che il giusto merito, prima o poi, viene riconosciuto e in alcuni casi anche ripagato. È una lezione imparata a 16 anni che mi ha seguita per tutta la vita. Fatta la maturità tentai l’esame di ammissione ad una scuola altamente professionale per un corso di grafica a numero chiuso, scuola dove avrei trascorso i successivi, felicissimi anni della mia vita imparando un lavoro che tutt’ora amo profondamente. Alla fine del colloquio con la commissione di esaminatori fui messa a sorpresa di fronte ad un test psico-attitudinale: 60 domande in 60 minuti. Mi scrocchiai le dita ed il collo, guardai l’ora nell’orologio in alto nella sala, guardai il foglio con le 60 domande. E sorrisi…

Un affettuoso ricordo e un caro ringraziamento.

 

Valeria Cammarosano

        

                           

 

 

 

 

 

Potrebbe sembrare un'impresa impossibile parlare di un'esperienza scolastica consclusasi quasi quindici anni fa, ma ripensando alle temibili “ore di greco” sembra che siano passati solamente pochi giorni. Ho scritto “temibili”, perchè per uno studente di Liceo il rapporto con il greco può essere spesso problematico e quasi inquietante, ma ripercorrendo la mia esperienza personale posso affermare a distanza di anni che la relazione con questa materia non sia mai stato un vero e proprio peso, al contrario di altre, magari sulla carta più “semplici” da studiare, ma con le quali avevo più difficoltà ad approcciarmi.

In questo ha influito in maniera decisiva quella figura, imponente e sempre accompagnata dai proverbiali borsoni, del prof. Fanetti, che ha saputo trasmettere, almeno al sottoscritto, un fortissimo interesse per la storia e la cultura dell'Ellade. Quel modo appassionato, sinceramente partecipato (che oserei definire “dionisiaco”) di spiegare, quasi immedesimandosi nelle vicende narrate, faceva sembrare meno difficoltoso persino l'apprendere correttamente la lettura in metrica dei versi. Una teatralità nelle spiegazioni che poteva incutere timore reverenziale per la materia e per il personaggio, una severità maniacale durante compiti scritti e temibilissime interrogazioni, ma che non facevano altro che stimolare ancora di più chi si accorgeva di avere una certa predisposizione alla materia, tanto che posso sinceramente affermare che, oltre a qualche sonora e inevitabile delusione, le più belle soddisfazioni scolastiche della mia avventura liceale le ho ottenute quando mi capitava di ben figurare in compiti o interrogazioni di greco.

Sono sicuro che tutto questo abbia influito in maniera fondamentale nella mia formazione personale (non solo di studente), dal momento che pur avendo abbandonato presto gli studi universitari, ho saputo mantenere immutato ed anzi accrescere l'interesse per la storia e la cultura dei nostri antenati greci. Proprio in questi giorni mi è capitato di iniziare la lettura di un testo di Plutarco, con prefazione di Dario Del Corno, non potevano che tornarmi alla memoria gli anni spensierati del Liceo e del Fanetti...

 

Matteo Cannoni

 

 

 

 

Una mattina, a colazione, io e Matteo abbiamo ripercorso i nostri anni liceali. E, tra ricordi e nostalgie, ci siamo ricordati di quando, nel riportare alla classe i voti del compito di greco, il prof. Fanetti ci annunciò che la versione, quella volta, era stata volutamente assai facile; tanto che tutti ne risultarono soddisfatti (anche i tradizionalmente meno capaci) tranne Matteo che - se normalmente non aveva problemi - proprio quella volta inciampò in un bel 4 tra l’ilarità di tutti (tranne la sua).

Quanto a me ricordo (e non potrei mai dimenticarlo) che, in vista di un fatidico test sulla poesia greca arcaica, studiai per ben 11 (undici) ore. E questo, ahimè per scarsa organizzazione della sottoscritta, tutto tra il giorno precedente, dall’uscita di scuola, e quello del test con una forza di nervi indiscutibile (ricordo tra l’altro che il test andò bene solo che, in quell’occasione, presi - e non scherzo - a parlare, e persino a pensare, in giambi).

E che dire poi di quando, incerta su di un vocabolo, mi avvicinai al prof. Fanetti per avere lumi? Misi allora il foglio con la versione sulla cattedra, indicai la parola e lui, con un gesto fulmineo, inforcò gli occhiali e si avvicinò talmente da non lasciarmi - giuro - neppure liberare il dito; dito che se ne restò, così, “in ostaggio” per tutto il tempo della traduzione.


Ma ce ne sarebbero di ricordi, di aneddoti (come non citare i dadi...), di storie di raccontare. Quel che è certo è che è stata una gran fatica e una grande, grandissima, scuola: una palestra che ci ha formato e - noi dobbiamo aggiungerlo - senza la quale non ci saremmo neppure conosciuti, fidanzati e, ora, finalmente sposati.

Quindi grazie e sempre Viva il Liceone

 

Valentina Bonucci

Matteo Rappoli