- Strumenti musicali greci

- Il canto omerico

- Il canto corale

 

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Il canto omerico:

un approccio all’esecuzione originale

 

Ecco quattro versi dell’Odissea, così come dovevano essere cantati da un aedo, secondo la ricostruzione di G.Danek (Georg Danek, a.o.Univ.-Prof., Univ. of Vienna, Dept. of Classical Philology) e S.Hagel (Stefan Hagel, Austrian Academy of Sciences, Commission for Ancient Literature). Maggiori particolari in http://www.oeaw.ac.at/kal/sh/

 

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Odissea, VIII, vv.273- 276

 

Ἥφαιστος δ' ὡς οὖν θυμαλγέα μῦθον ἄκουσε,
βῆ ῥ' ἴμεν ἐς χαλκεῶνα κακὰ φρεσὶ βυσσοδομεύων,
ἐν δ' ἔθετ' ἀκμοθέτῳ μέγαν ἄκμονα, κόπτε δὲ δεσμοὺς
ἀρρήκτους ἀλύτους, ὄφρ' ἔμπεδον αὖθι μένοιεν.
E quando Efesto sentì la dolorosa notizia, si diresse alla sua fucina, meditando mali nel cuore, e mise sul banco dell’incudine una grande incudine, e forgiava catene che non potevano essere rotte né sciolte, affinché (Ares e Afrodite) rimanessero lì bloccati.

 

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Il canto corale:
un approccio all’esecuzione originale

 

Ecco come forse erano cantate le Odi di Pindaro, secondo la ricostruzione dei proff. Pavese e Guardi.

 

 

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Pindaro, Istmica I, vv.1-17                                                              

 

Μᾶτερ ἐμά, τὸ τεόν, χρύσασπι Θήβα,

πρᾶγμα καὶ ἀσχολίας ὑπέρτερον

θήσομαι. Μή μοι κραναὰ νεμεσάσαι

Δᾶλος, ἐν ᾇ κέχυμαι.

Τί φίλτερον κεδνῶν τοκέων ἀγαθοῖς;

Εἶξον, Ὠπολλωνιάς· ἀμφοτερᾶν τοι χαρίτων

   σὺν θεοῖς ζεύξω τέλος,

 

καὶ τὸν ἀκειρεκόμαν Φοῖβον χορεύων

ἐν Κέῳ ἀμφιρύτᾳ σὺν ποντίοις

ἀνδράσιν, καὶ τὰν ἁλιερκέα, Ἰσθμοῦ

δειράδ᾽· ἐπεὶ στεφάνους

ἓξ ὤπασεν Κάδμου στρατῷ ἐξ ἀέθλων,

καλλίνικον πατρίδι κῦδος. Ἐν ᾇ καὶ τὸν ἀδείμαντον

   Ἀλκμήνα τέκεν

 

παῖδα, θρασεῖαι τόν ποτε Γηρυόνα φρῖξαν κύνες.

Ἀλλ᾽ ἐγὼ Ἡροδότῳ τεύχων τὸ μὲν ἅρματι

   τεθρίππῳ γέρας,

ἁνία τ᾽ ἀλλοτρίαις οὐ χερσὶ νωμάσαντ᾽ ἐθέλω

ἢ Καστορείῳ ἢ Ἰολάου ἐναρμόξαι νιν ὕμνῳ.

Κεῖνοι γὰρ ἡρώων διφρηλάται Λακεδαίμονι καὶ Θήβαις

   ἐτέκνωθεν κράτιστοι.

Madre mia, Tebe dall’aureo scudo, porrò il lavoro per te persino al di sopra della mancanza di tempo. Con me non si adiri Delo rocciosa da cui sono assorbito. Cos’è per i buoni più caro dei genitori diletti? Cedi, patria d’Apollo! Con l’aiuto divino aggiogherò il compimento di entrambi gli omaggi,

 

cantando sia Febo dalla chioma irrecisa, a Ceo circonfusa dall’onda insieme ai marittimi uomini, sia la dorsale dell’Istmo serrata dal mare: poiché una corona da legare inviò per compagna alle schiere di Cadmo, gloria trionfale alla patria. Nella quale inoltre Alcmena generò quell’impavido

 

 

 

 

figlio che le cagne temerarie di Gerione un giorno temettero. Ma io, apprestando il dono, ad Erodoto, per il carro quadrigo, e perché ne ha retto le redini con mani non di altri, voglio  congiungerlo a un inno o per Castore o per Iolao. Perché tra gli eroi essi furono a Lacedemone e a Tebe aurighi possenti.

 

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